Canoviana2012

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martedì 7 ottobre 2014

AUTUNNO ROCOCÒ

Ormai è autunno, non c'è più scampo.
Esco di casa al mattino ed è ancora buio. L'aurora consiste in un bianchiccio assemblaggio di nebbia, brina e brezzolina. Ancora mi salvo dal cappotto e mi fascio in una sciarpa più grande di me, ma sì...ormai è autunno.
Combatto la cosa con borse dai toni brillanti (ode a Michael Kors!!!) e alcune scarpe tendenti al fluo. Non conosco altri rimedi, se non i colori che profumano d'estate e il mio morboso attaccamento all'arte, alla sua storia e alle sue storie.

L.Alma-Tadema, Le Rose di Eliogabalo, 1888, part.
Il rosa salmone del maglione che ho infilato al volo oggi è molto rococò, ricorda (non troppo) vagamente le figurine di Fragonard.
J-H Fragonard, Autoritratto,
Grasse, Musée Fragonard
Jean-Honoré Fragonard [Grasse, 1732 - Parigi, 1806], un francese dal pennello rapido e delicato, che si crogiola bellamente nelle file del rocaille. Sì, io combatto sempre con quegli standard che cristallizzano modi e mani degli stili, ma se penso alle vezzose inclinazioni francesi di Fragonard, il solo aggettivo che trovo è "rococò". Spesso, non sempre.
Allievo di Chardin prima e di Watteau poi, il nostro vive un'intensa parentesi italiana (1756-1761) che lascia un segno indelebile. Piuttosto che i grandi Michelangelo e Raffaello, sono i più "attuali" Guercino, Carracci e Pietro da Cortona ad attirarlo... e alla loro influenza si aggiungerà quella del colorismo veneto di Veronese e Tiepolo.
J-H Fragonard, La lettera d'amore, 1770, part. 
Un pout-pourri di modelli ai quali, al rientro in patria, si aggiungeranno Rubens, Van Dyck e Rembrandt.
Nonostante le più varie fonti pittoriche, però, egli si avvale essenzialmente del proprio stile, molto personale. Un tocco rapido, un pennello nervoso, il gusto per l'impasto materico, il modellato sensuale, una luce a tratti rarefatta. Elementi essenziali e peculiari che si fondono magistralmente nel tema prediletto, nelle scene galanti - fêtes galantes
J-H Fragonard, Il Bacio rubato,
1765-1770, part.
Con freschezza ed eleganza egli si fa interprete eccellente della società di Luigi XV e di Luigi XVI; Fragonard è il pittore del piacere che dipinge per un'aristocrazia viziata e viziosa.
E l'Amore è protagonista incontrastato in tutte le sfumature che gli appartengono: vivace, diffidente, spiritoso, appassionato, gaio..sensuale.
Emblematico, in tal senso, L'altalena, un olio del 1767 conservato a Londra, presso la Wallace Collection.
Jean-Honoré Fragonard, L'altalena, 1767, Londra, The Wallace Collection, 81 x 64 cm, 
inv. P430 fonte wikipedia.com 
Un cortigiano avvicinò il pittore chiedendogli un ritratto di sé assieme alla propria compagna. Egli si voleva raffigurato come il giovane amante della donna, nascosto tra folti cespugli, mentre un vescovo spingeva l'altalena. Fragonard eliminò l'elemento anticlericale, sostituendo il vescovo con il marito della dama. 
J-H Fragonard, L'altalena, 1767, Londra, part.
L'immagine ha una compostezza sfavillante, con una ricchezza di toni disarmante. Una prima impressione sembra focalizzare la selvatica radura di un bosco; il contesto, la statuaria, gli attrezzi da giardino e gli elementi architettonici vogliono piuttosto far intendere una ricca tenuta privata, che con i verdi lussureggianti e le sculture antiche ricorda i giardini lussureggianti di Villa d'Este a Tivoli, vicino Roma, dove il nostro trascorse l'estate del 1760.
J-H Fragonard, L'altalena, 1767, part.
Ed eccola, deliziosa, anzi "favoliziosa", la fanciulla che si lascia dondolare dall'altalena... Oggi suona follia, ma all'epoca non era inconsueto ritrarre giovani donne divertite e divertenti in questo gioco. 
Il su-e-giù rappresentava (anzi: rappresenta) la volubilità delle passioni! Un movimento dipinto con uno scatto dal pennello, che condensa in un colpo il messaggio del dipinto, messaggio sotteso ed efficace: passione, ma leziosa. Nonostante la tematica, l'artista non cade mai nella volgarità, grazie a una resa armonica e raffinata, che sicuramente piacque a Ménage de Pressigny, proprietario del dipinto nei primi anni Novanta, che ne godette... fino a che non fu ghigliottinato nel 1794 e l'opera non venne confiscata dalle autorità rivoluzionarie.
J-H Fragonard, L'altalena, 1767, part.
Era troppo rococò, troppo ancien régime per piacere alla Repubblica: nel 1859 il Louvre rifiutava ancora l'offerta del dipinto, che finì in Gran Bretagna, dove fu esposto al pubblico l'anno successivo. Quasi un secolo dopo la realizzazione, L'altalena fece capolino nell'immaginario collettivo e si rese iconica memoria del rocaille
E poi? E poi rimane un'idea geniale nel nulla dello speranzoso successo, quel vago sperare che noi sognatori reputiamo valido e assennato. 
Nel 1789 Fragonard, all'alba della Rivoluzione francese, smise di dipingere. Nel 1793 entrò a far parte di una commissione incaricata di costruire il nuovo Musée du Louvre; tra gli ulitmi esponenti del Rococò francese, Fragonard non può e non volle mettersi al passo coi tempi. 
Peccato, perché di quella sua pittura frivola, densa di umori, voluttuosa e delicata non se ne può fare a meno! 

La scheda del dipinto sul sito The Wallace Collection: The Swing e le altre sue opere conservate presso la collezione: works of art


J-H Fragonard, Le petit parc, 1762-1763,
Londra, The Wallace Collection, inv. P379




il mio golf autunnale... che ha scatenato riflessioni rococò


sabato 4 ottobre 2014

Epigrafia in Laguna


Mi capita spesso, quando "navigo" tra i canali, di chiudere gli occhi. Assaporo ogni istante e mi affido alla memoria dello sguardo, per godere dei riflessi della Laguna. Ogni volta un'emozione nuova!
L'atmosfera è quella magica di Venezia, il palcoscenico recentemente scelto da Mr. & Mrs. Clooney per sposarsi, ma sopratutto uno dei luoghi più saturi di arte e cultura in Europa. 
Il lento dondolio dei traghetti ha qualcosa di magico, una magia che rapisce chiunque. 
Così come lascia senza fiato, mentre si è assorti tra un pensiero e una cresta sull'acqua, l'apparire in lontananza della Basilica di Santa Maria della Salute. La chiesa sorge nei pressi di Punta della Dogana, ultima propaggine del quartiere di Dorsosùro, verso il Bacino di San Marco, lì dove le acque della Laguna si insinuano fra le isole della città a formare da una parte il Canal Grande, dall'altra il Canale della Giudècca. 
L'ex-voto che i veneziani tributarono alla Vergine Maria per la liberazione dalla peste del 1630, rappresenta uno dei massimi esempi di barocco veneziano. Vincitore del concorso per la progettazione della chiesa fu Baldassarre Longhena (una nostra vecchia conoscenza... incrociata agli Scalzi), che aveva proposto di "farla in formo di corona, per esser dedicata a essa Vergine..." [B.Longhena, 1630].  La forma architettonica con cui Longhena scelse di esprimere l'immagine di una corona divina è un ottagono rettangolare circondato da un peribolo.
Oggi ci preme aggirare la "corona" ed entrare nel Seminario Patriarcale di Venezia, sito dal 1818 nel palazzo costruito da Baldassarre Longhena nel 1671 e ospite della Pinacoteca Manfrediana e della Biblioteca Monumentale.
Pinacoteca e Biblioteca accolgono numerose ghiottonerie, che le rendono mete privilegiate di studiosi e ricercatori. Il recente restauro del palazzo del Seminario ha permesso, inoltre, di valorizzare il patrimonio in esso custodito e sopratutto di renderne più fruibile l'accesso!

Venezia, Seminario Patriarcale, Biblioteca
In merito alle Collezioni del Seminario, mi è stato recentemente chiesto di recensire un libro: mentre sfogliavo il volume non potevo fare a meno di pensare a una rubrica de <<La Settimana Enigmistica>>  che da sempre ci aggiorna  su curiosità varie ed eventuali.
Forse non tutti sanno che... presso il Seminario patriarcale di Venezia è conservata da quasi due secoli la più vasta collezione epigrafica della città! Oggi vi sono presenti circa 100 iscrizioni (comprese quelle su bassorilievi) databili dal IX al XVIII secolo.
Con l'obiettivo di un "censimento" di queste iscrizioni è nato il volume edito da Marcianum Press La Collezione epigrafica del Seminario Patriarcale di Venezia. Catalogo (secoli XII-XV) a cura di Lorenzo di Leonardo: tale pubblicazione vuole essere la prima di una serie volta alla catalogazione e allo studio completi della raccolta lapidaria del Seminario.

Si tratta di una raccolta formatasi nell'arco della prima metà dell'Ottocento, "conseguenza non programmata di una vera e propria operazione di  salvataggio culturale" (Introduzione, p.9).
il braccio ovest del chiostro dopo l'ultimo restauro
Le soppressioni napoleoniche, tra il 1806 e il 1810, e successivamente quelle del governo austriaco determinarono la demolizione di numerosi edifici ricchi di arredi e opere preziosi, ma anche di "scritture esposte" (iscrizioni funerarie, commemorative, dedicatorie, etc...), sopratutto epigrafiche. Grazie all'impegno di personaggi del calibro di Emanuele Antonio Cicogna, Giovanni Casoni e Giannantonio Moschini le epigrafi sfrattate trovarono asilo tra le pareti del chiostro e al piano nobile del Seminario, in una sorta di museo archeologico antelitteram.
Convento di San Salvador
Altorilievo con iscrizione
comemorativa, 1362
La disposizione che oggi hanno le iscrizioni rispecchia parzialmente quella ottocentesca, in quanto nel corso dei decenni i materiali hanno subito spostamenti e perdite... ma non voglio entrare nei dettagli della storia del lapidario del Seminario Patriarcale di Venezia! Voglio piuttosto stuzzicare la vostra curiosità, in cerca dei racconti che possono fare le pareti del chiostro.
Il volume, si è accennato, abbraccia una parte delle epigrafi conservate presso il seminario, cioè quelle medievali, 27 iscrizioni per le quali sono state redatte altrettante schede. Insomma, questo primo catalogo comprende le epigrafi databili tra il 1146/48 e il 1459 che raccontano la storia e le storie di trecento anni veneziani: commemorazioni, dedicazioni, fondazioni o consacrazioni di chiese o monasteri... che con riproduzioni fotografiche e schede dettagliate si presentano per quello che sono, cioè FONTI di prima mano.
All'apparenza può parere un contributo meramente destinato agli "addetti ai lavori". Il testo, invece, è fruibile e dettagliato; i curiosi e gli appassionati hanno il dovere di sfruttare questo mezzo per avvicinarsi ai segreti della Laguna, per scoprire angoli che non ci sono più, chiese che se non sono state demolite sono tanto cambiate da sembrare altro, attraverso la "memoria tangibile" che ci offrono le epigrafi del Seminario Patriarcale di Venezia.


Chiesa di San Giorgio in Alga. Iscrizione funeraria, 1445
Non ditemi che a leggere di arte e di storia a Venezia  non vi è venuta voglia di un giretto in Laguna...

Venezia, Seminario Patriarcale
Al link orari e numeri utili per la visita: http://www.seminariovenezia.it/orari-di-apertura-e-biglietti
e per chi studia..http://www.seminariovenezia.it/studenti-ricercatori-e-studiosi-accreditati

domenica 22 giugno 2014

Giorgio Morandi in mostra a Firenze

La Fondazione di Studi di Storia dell'Arte
Roberto Longhi, Firenze
Bologna, 1964, 18 Giugno: muore Giorgio Morandi.
Firenze, 2014, 1-22 Giugno: in mostra.
Grazie al sostegno della Collezione Merlini, Fondazione Roberto Longhi  ha aperto alcune sale per ospitare Giorgio Morandi, uno degli artisti più cari e affezionati allo storico dell'arte, per ricordarlo a 50 anni dalla scomparsa.
GIORGIO MORANDI ROBERTO LONGHI Opere Lettere Scritti a cura di Maria Cristina Bandera.
Facciamo un passo indietro e immaginiamo un'amicizia forte, quella tra Giorgio Morandi e Roberto Longhi. 
Giorgio Morandi e
Roberto Longhi
Con la presenza attenta e appassionata dei borsisti della Fondazione che hanno accompagnato alla visita, nelle stanze dalla "casa" di Longhi si è compiuto un passo a ritroso nell'attività artistica di Morandi, ma non solo.
La mostra che chiude oggi [ 22 Giugno 2014 ] a Firenze, infatti, ha ripercorso le fila di una conoscenza fatta di passioni comuni - Cézanne, Piero della Francesca... Caravaggio - e di un ideale sodalizio artistico.
Il lavoro del professore (come preferiva farsi chiamare) ci si presenta attraverso la voce stessa di Roberto Longhi, che ricorda l'amico davanti alle telecamere de l' "Approdo", a pochi giorni dalla sua morte. Seguono i racconti di Riccardo Bacchelli, che dipinge un ritratto morandiano umano e (quasi) frivolo, senza dimenticare osservazioni puntuali e profonde in merito alla sua personalissima arte.
E poi le opere: Nature Morte, Fiori, Paesi e incisioni. Poche e selezionatissime (i doni fatti dal pittore a Longhi e alla moglie e i tre olii facenti parte della Collezione Merlini) per una mostra di nicchia, volta non solo alla celebrazione e al ricordo dell'artista cinquant'anni dopo la sua scomparsa, ma anche indirizzata all'aggiornamento degli studi.
Chiudono la visita, infatti, alcuni documenti: gli appunti di Longhi per la mostra su Morandi del '45 alla Galleria Il Fiore (Fi), un inedito scambio epistolare e la bozza del discorso fatto da Longhi nel giugno del '64 nella trasmissione televisiva dell'Approdo. Appartiene a questo momento, tra le righe appuntate con chiarezza sul foglio e le parole espresse con fermezza davanti alla telecamera, la celebre considerazione del critico in merito all'artista: "Morandi non sarà secondo a nessuno".
Conferma di ciò lo dà il catalogo della mostra, che non è propriamente un catalogo... si tratta, piuttosto, di un VOLUME, corredato certo delle schede delle opere in mostra, ma arricchito dell'analisi e trascrizione dei documenti esposti e di nuovi studi effettuati dalla prof.ssa Marica Cristina Bandera, curatrice della mostra.
Mi riferisco inoltre al saggio di Marinella Gnani, che avvia le ricerche in merito alle tecniche e ai materiali usati da Morandi, analizzandone le tele utilizzate.
Interessante, infine, il dialogo nel quale sono stati coinvolti i borsisti della Fondazione Longhi, che si sono interrogati sul "Perché Morandi oggi?". 




La Natura Morta metafisica rubata negli anni
Ottanta alla Fondazione di Studi di Storia
dell'Arte Roberto Longhi e ora dispersa
che apriva la mostra




sabato 21 giugno 2014

#estate

Carlo Mattioli, La spiaggia, 1972


Osservare tra fondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
(da E. Montale, Meriggiare pallido e assorto)



Telemaco Signorini, Marina a Viareggio, 1860






lunedì 9 giugno 2014

Sensazione in recensione

Uno dei primi ricordi che ho di Venezia è tinto dei colori del tramonto.
Un tramonto d'estate, tiepido e rosa. E stupito: avevo tre anni, l'età delle scoperte.
Ricordo il lento cullare delle gondole e l'ebbrezza dei taxi motoscafo, ricordo che era come vivere in un sogno. Ricordo il riflesso del crepuscolo sulla facciata degli Scalzi, colori ballerini su una vibrante fronte marmorea.

Venezia, Chiesa degli Scalzi, facciata, foto ante 1920

La memoria di ciò riaffiora grazie a un libro che mi è stato chiesto di recensire, un libro per "addetti ai lavori", ma anche per appassionati e semplici curiosi. Un libro, pertanto, che sembra rivolto al medesimo pubblico con il quale dialoga osservarte e che non vogliamo recensire in maniera tradizionale. De La Chiesa di Santa Maria di Nazareth e la spiritualità dei Carmelitani Scalzi a Venezia non voglio passare in rassegna l'indice -indice che è specchio della varietà di intenti del volume stesso, atti del convegno "La chiesa di Santa Maria di Nazareth. Arte e spiritualità dei Carmelitani Scalzi a Venezia" tenutosi in Laguna dal 30 novembre al 1 dicembre 2012. Il convegno e la pubblicazione degli atti nascono nell'ambito del progetto "Chiese di Venezia. Nuove prospettive di ricerca" che intende studiare spazi sacri veneziani con un approccio multidisciplinare, passando attraverso l'arte, la fede, la politica, l'economia e la società e le vicende conservative e di restauro.


Non voglio nemmeno riassumere malamente un testo ricco non solo di apparato illustrativo, ma soprattutto di contenuti che svelano le vicende dell'edificio e storia dell'arte, dell'architettura e della città, insieme al una fitta trama di committenze tra l'aristocrazia e i carmelitani.
Domenico e Giuseppe Valeriani
Gloria d'angeli, ante 1717 cupola,
part.Venezia, Chiesa degli Scalzi
Vorrei, piuttosto, indurvi a leggerlo, a prenderlo in mano e sfogliarlo per scoprire una chiesa emblematica.
Sì, emblematica è l'aggettivo adatto per un edificio sacro come Santa Maria di Nazareth, sorto all'imbocco dal Canal Grande in un'epoca di grandi cambiamenti all'interno del mondo cattolico e della società lagunare. La Chiesa post-tridentina, "controriformata" da una parte, e una Venezia che con le unghie e con i denti tentava di mantenere il proprio spazio all'interno del Mediterraneo dall'altra. Tra stravolgimenti religiosi e una sorta di implosione politica sorse pertanto la sola chiesa di Venezia che vede la scultura come protagonista assoluta. 
L'ordine mendicante dei Carmelitani Scalzi arrivò in Laguna attorno al 1633 e con gradualità si insediò negli spazi occupati ancora oggi dal Convento e dalla Chiesa; nel 1646 il Senato concesse l'istituzione di un convento, che sorse a metà del secolo. Pochi anni dopo arrivò la commissione all'architetto Baldassarre Longhena! Aggiungiamo altri nomi al dietro le quinte per la definizione di un edificio che si è fatto manifesta dell'architettura ecclesiastica della metà del Seicento: Giuseppe Pozzo (frate laico dei Carmelitani, architetto fratello minore del più celebre Andrea), Antonio Gaspari (architetto di scuola Longhena, ma anche romana) ed eccola: un'unica navata, due cappelle laterali a propria volta affiancata da due minori ciascuna. 

Baldassarre Longhena, con aggiunte di Giuseppe Pozzo
chiesa degli Scalzi, planimetria, 1754, Milano
Archivio Provinciale dei Carmelitani Scalzi, Album Pozzo, f.94

Facciamo altri nomi, cioè Giuseppe Sardi e i fratelli Orazio e Angelo Marinali; il primo disegna e i secondi realizzano le sculture per la facciata commissionata da Girolamo Cavazza e conclusa nel 1680. Un trionfo scultoreo, una eleganza monumentale che attanaglia l'attenzione di chiunque. Già qui, al solo, seppur avvinto, sguardo alla fronte, si intuisce il rapporto forte che l'architettura ha stretto con la scultura. Se entriamo, protagonista è il il barocco trionfante mai immobile, ma sempre animato da un fervore carnale. 

Venezia, Chiesa degli Scalzi, interno

Gli altari delle cappelle, il presbiterio e l'altar maggiore son frutto del fervore creativo di Giuseppe Pozzo che dal 1695 al 1721 plasmò gli interni della chiesa, stravolgendo il concetto del bel composto seicentesco, in favore di una cromia ricca che dialoga con la luce e con il marmo.
Giambattista Tiepolo e Gerolamo Mengozzi Colonna
 Trasporto della Santa Casa, (distrutto) Venezia,
chiesa degli Scalzi, fonte: Fototeca Zeri
Le pitture della cupola e del coro dei frati furono affidate ai fratelli Valeriani, mentre Luis Dorigny dipinse la volta della cappella della Sacra Famiglia. Erano gli anni tra il 1716 e il 1717, che precedono di pochissimo il lavoro tiepolesco.
Attorno al  1722, infatti, Giambattista Tiepolo dipinse il Trionfo di santa Teresa sulla volta della cappella a lei dedicata e fra il 1743 e il 1745 realizzò insieme a Girolamo Mengozzi Colonna  il Trasporto della Santa Casa sul soffitto della navata.
Si apre qui una parentesi all'interno del volume stesso. William L. Barcham, che scrive di Giambattista Tiepolo e Gerolamo Mengozzi Colonna.... (pp.191-208), apre il proprio discorso ricordando il fatto che ha portato alla scomparsa dell'affresco: la sera del 24 ottobre 1915 le forzee aeree austriache colpirono la stazione ferroviaria.  Ma non solo: il soffitto della vicinissima chiesa degli Scalzi crollò. I frammenti superstiti sono oggi visibili presso le Galleria dell'Accademia, mentre nel 1929 fu chiamato Ettore Tito che dipinse La Gloria di Maria Trionfante dopo il Concilio di Efeso. Quest'ultimo affresco è di indubbia efficacia prospettica, ma con la scomparsa dell'opera tiepolesca si è andata a perdere l'unità iconografica e compositiva della chiesa.


Venezia, chiesa degli Scalzi, l'interno dopo il bombardamento del 1915

Tuttora, nonostante i danni della guerra e le ingenti perdite, l'interno maestoso concepito da Longhena, arricchito dei "capricci" di Giuseppe Pozzo e dal pennello di Tiepolo mantiene vivo il proprio fascino, così come la facciata in marmo bianco. Facciata che mi piace immaginare rapisca ancora oggi l'attenzione dei bambini, mentre gioca con i colori del sole al tramonto.
Per noi più grandi, un buon modo per alimentare lo stupore è leggere il libro qui sfogliato e raccontato!

Venezia, chiesa degli Scalzi, ricostruzione del soffitto originario (Barcham)


NOTA Laddove non sia indicato altrimenti, le immagini sono tratte dal libro  La Chiesa di Santa Maria di Nazareth e la spiritualità dei Carmelitani Scalzi a Venezia, a cura di G. Bettini e M. Frank, Marciana Press, Venezia 2014

domenica 20 aprile 2014

una RESURREZIONE bolognese

« Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è resuscitato il terzo giorno secondo le Scritture. » (Paolo di Tarso, Prima Lettera ai Corinzi, 15,3-4)


Oggi il mondo cristiano celebra la Santa Pasqua, la Resurrezione di Cristo.

Non farò del catechismo e non analizzerò iconografie. Vorrei solo festeggiare la giornata con un dipinto per me speciale, cioè una piccola tela che Guido Reni dipinse allo scadere del Cinquecento per la Cappella del Rosario nella bolognese chiesa di San Domenico. 

Nell'undicesimo mistero del Rosario la realtà metafisica vive in uno stato di perenne metamorfosi, di purificazione: il fatto sacro si isola e stimola la concentrazione dell'orante.

Siamo in piena età della Controriforma e noi oggi, fedeli e non, ci lasciamo colpire da questa luminosità soprannaturale. La scena è eterna e noi con lei, dentro di lei.




Guido Reni, Resurrezione, 1596-1598
Bologna, Basilica di San Domenico
Cappella del Rosario

fonte img. fe.fondazionezeri.unibo.it/catalogo/

venerdì 28 marzo 2014

Follie di Primavera



Qualche giorno fa ha fatto scalpore e un gran sorridere una notizia proveniente dalla fiorentina Galleria degli Uffizi: un giovane turista spagnolo si è letteralmente spogliato davanti alla Nascita di Venere del Botticelli... c'è chi ha parlato di estasi, chi ha parlato di "Sindrome di Stendhal". A me sembra piuttosto follia! Una follia quasi carnascialesca, qualcosa che si prende gioco delle emozioni altrui per far un po' di scena. E che scena! Il ragazzo ha completato la performance spargendo petali di rosa per la sala...

Sandro Botticelli, Nascita di Venere, 1484 circa
Firenze, Galleria degli Uffizi (part.)
fonte http://it.wikipedia.org/

Questo fatto mi dà lo spunto per evocare un altro capolavoro di Sandro Botticelli, un dipinto che gli Uffizi ospitano nelle medesime Sale 10-14 Botticelli, cioè la Primavera
Sarà il fatto che qui ancora la nuova stagione non sembra voler arrivare, sarà perché "primavera" mi richiama alla mente un trionfo di colori e profumi... sono tornata a darle un'occhiatina.
Oggi come seicento anni fa questa enorme tavola (misura 203 x 314 cm!) rappresenta la sublimazione del più puro amore sensuale.

Sandro Botticelli, Primavera, 1485 circa
Firenze, Galleria degli Uffizi fonte http://it.wikipedia.org/
Dipinta nei primi anni Ottanta del XV secolo, questa tavola rappresenta ancora oggi un "mistero irrisolto". Essa, infatti, cela dietro le forme sensuali delle divinità e delle allegorie una serie di significati che ci sono oscuri. Ed è quest'aurea misteriosa l'ingrediente segreto di gran parte della pittura di Botticelli e dei suoi contemporanei.
Sandro Botticelli, Venere e Marte, 1485 circa (part.)
Londra, The National Gallery fonte www.nationalgallery.org.uk/
Non voglio ammorbare con una parentesi in merito a tutti quegli elementi che caratterizzano il periodo storico-artistico-culturale che cristallizziamo sotto l'etichetta "Rinascimento"; vale qui la pena indicare al volo la componente simbolica che caratterizza alcuni circoli culturali e i loro artisti. Botticelli rientra a pennello in questo, in quanto la sua opera è spesso impregnata di Neoplatonismo. Non entro nei dettagli filosofici della corrente -non ne ho né le competenze, né le capacità, mi basta accennare al fatto che i neoplatonici recuperarono la cultura antica, amalgamandola a quella cristiana. Gli Antichi non erano più visti con l'accezione negativa del paganesimo, quanto piuttosto come la radice della cultura paleocristiana. I testi antichi vennero riscoperti, riletti e reinterpretati all'interno di una cultura che "rinasceva": la mitologia e le simbologie di cui quest'ultima si fa carico trovano in questa rinascita un terreno molto fertile.
Sandro Botticelli, Venere e Marte, 1485 circa (part.)
Londra, The National Gallery fonte www.nationalgallery.org.uk/
Sandro Botticelli fu chiamato spesso a dipingere argomenti mitologici (vedi la Nascita di Venere in apertura o il quasi coevo Venere e Marte di Londra), dietro ai quali però nascondeva significati altri...che noi oggi non sempre comprendiamo.
In merito alla Primavera sono stati versati fiumi di inchiostro, nel (forse vano) tentativo di decifrarne il significato.
L'allegoria sembra ispirata ai testi classici di Ovidio e Lucrezio insieme ad alcuni versi scritti in volgare dal contemporaneo Agnolo Poliziano per la Giostra di Giuliano de'Medici, cioè per la vittoria riportata dal rampollo de'Medici in un torneo nel 1475.
Poliziano descrive le Tre Grazie e il vento che spira in primavera, Zefiro, mentre rincorre la ninfa Clori. Questo, sposandola, le dona la capacità di far sbocciare fiori che le escono dalla bocca. Accanto alla ninfa è una donna vestita di fiori: è la metamorfosi di Clori in Flora, cioè nella divinità latina della primavera, che qui sparge boccioli di rose in fiore. 
Mercurio, quasi indifferente a quel che gli succede intorno, con un caduceo allontana la pioggia dal giardino, mentre Cupido (bendato) tende l'arco.
Sandro Botticelli, Primavera
particolari sparsi
Al centro della composizione, regina del proprio giardino, incede elegante Venere.
E dietro a questi personaggio cosa c'è? 
Plausibile è l'idea di vedere all'interno dell'intera scena un riferimento alle verità morali, attraverso la figura dea Venere, simbolo neoplatonico dell'amore più elevato e al contempo humanitas, cioè le attività spirituali dell'uomo.
Questa è una delle varie ipotesi interpretative che si sono palesate, in quanto la tavola offre addirittura tre livelli di lettura: quello mitologico, quello filosofico di cui qui si è accennata un'idea e, last but not least, quello storico-dinastico, legato alle vicende fiorentine e ai de'Medici. Le divinità che sfilano davanti a noi dipinti da Botticelli, infatti, potrebbero essere personaggi fiorentini e le loro virtù!
Esuliamo dalla ricerca di un significato e concentriamoci sulla purezza e la ricchezza della pittura di Botticelli. E ammiriamola, senza avere la pretesa di commentare e pensare. Linee sinuose disegnano forme affusolate nella definizione di corpi che con sensualità si incrociano e si incontrano creando una composizione di armonia assoluta.
Accarezziamo con gli occhi quelle carni e lasciamoci inebriare dall'infinità di fiori che popolano questa natura. 

Sandro Botticelli, Primavera, 1482 circa Firenze, Galleria degli Uffizi (part.)
fonte Google Cultural Institute


Sembra che Sandro Botticelli voglia offrirci un campionario e di abilità e di quantità: la sua arte lenticolare, che rende con una pittura quasi maniacale la morbidezza di petali e boccioli, non solo delle carni. La quantità degli esempi della flora: fiordaliso, nontiscordardime, gelsomini, viole, rose, margherite...sono circa duecento le specie floreali ritratte dal vero che per noi rappresentano il filo diretto con il passato, un contatto privilegiato con Botticelli. Gran parte di questi fiori, infatti, fioriscono proprio in questi giorni sulle colline intorno a Firenze e nei prati vicino alla villa medicea di Castello, la destinazione originaria della Primavera.



 




La scheda  Primavera  sul sito della Guida alla Galleria degli Uffizi


L'Amore Sensuale

domenica 16 marzo 2014

#naturamorta



Giorgio Morandi
Fiori, 1950
fonte google.it


Non vi è nulla di più astratto del reale.

domenica 16 febbraio 2014

Ragione e ... Immaginazione-

Parafrasando il titolo italiano  di un celebre romanzo di Jane Austen (Ragione e Sentimento), introduco un artista speciale.
"Speciale" è il termine giusto, seppur ingenuo, comune e spesse volte abusato, perché William Blake ha creato qualcosa di personalissimo, commistione di sensazioni, tecnica e arte. Nonostante ciò egli appartiene a una schiera di personaggi (semi)dimenticati: spero di rendergli onore!
Thomas Phillips, William Blake, 1807,
Londra, National Gallery Portrait
Poet/Printer/Prophet ecco quello che era e che sentiva di essere William Blake, riassumendo in sé la figura del tormentato uomo (proto)romantico, poeta-profeta e artista che vive in un'epoca di grandi cambiamenti. Il mondo di Blake è quello in cui, attraverso tre grandi rivoluzioni (americana, francese e industriale) venne definitivamente spazzato via il vecchio ordine e pose le basi la società moderna. Altrettanto radicale fu la rivoluzione che si impose nella letteratura, con il superamento del Neoclassicimo e l'affermarsi del Romanticismo. 
Non entro nei dettagli teorico-filosofici dei suoi testi: siamo qui per parlare di arte e, anche se in lui questa è inscindibile dalla letteratura, non possiamo perdere il nostro filo di Arianna. 

Per Blake la Ragione mente; l'Ispirazione e la Visione sono l'unica Realtà: da qui prende corpo la sua concezione del potere creativo dell'Immaginazione che permette l'infinito perfezionamento della Visione. La realtà della Visione si contrappone alla Ragione, che diventa forza distruttiva nel momento in cui domina l'uomo.

Sin dai primi anni di attività, Blake è tra i primi a parlare di Genio Poetico, cioè del principio della percezione umana e della "copia" che l'artista fa dell'Immaginazione, incorporandola come energia nella forma. L'Arte per lui è creativa e la Poesia è frutto dell'Ispirazione, unifica e rivela; da ciò si conclude che la poesia è soprattutto visione, l'immaginazione che si contrappone al mondo dei sensi, cioè all'Illusione, mera creazione mentale. 
Repubblicano, William Blake fu tra i primi ad avvertire le laceranti contraddizioni della società inglese del suo tempo e a individuare i latenti malesseri che la Rivoluzione Industriale stava provocando. Nella pagina immagini e parole vengono concepite insieme, insieme sono trascinate dalle forme d'ispirazione prerinascimentale e michelangiolesca e insieme sono scomposte in un horror vacui trecentesco. 

The Emanation of the Giant Albion, Copia E, Tav.3, 1821
Yale Center fot British Art, fonte http://www.blakearchive.org/

Il poeta canta la libertà e piange la sofferenza degli oppressi, dei diseredati e degli sfruttati; l'artista le dipinge; entrambi si oppongono al Settecento conformista, affermando la potenza dell'Energia: 
<<Energy is the only life>> <<Energy is the Eternal Delight>>
(L'Energia è l'unica vita - L'Energia è l'Eterno Piacere)
Si tratta di una potenza che trascende figurazione e testo e s'impone all'attenzione del lettore: grazie alla possibilità dell'Immaginazione di trasformarsi in parole e immagini viene rappresentata, con rigore e chiarezza formale, l'evocazione della visione, traducendola in miti e simboli. Nell'opera blakeana, gli aspetti visionari si fondono con quelli politici e religiosi e con le tematiche sociali in un intreccio di simboli e riferimenti, che trovano il proprio punto di contatto nella linea: una concreta linea fluida che traccia le figure (flamming line) e una concreta "linea" ritmica che percorre i versi.
I temi sono quelli terrificanti del pre-Romanticimo (pensiamo al suo "maestro" Fuseli!), sono soggetti spaventosi, che esprimono l'irruzione dell'inconscio nella quotidianità; paure, drammi e angosce vengono rappresentati da una complessa simbologia. Blake si lascia trasportare da una tensione pratica e da un'attenzione concreta ai dati dell'esperienza, per dar visione alla propria Immaginazione: egli raggiunge così la vera e matura coscienza del conoscere, andando oltre la semplice percezione e mantenendo vivo in sé il modo immaginativo del mondo sensibile; nello spazio dell'immaginario si trasformano le simbologie e i simboli e la visione va oltre la semplice percezione.
Da queste valenze espressive visionarie e simboliche, fatte di misticismo e spiritualità, emergeranno i primi caratteri del Romanticismo inglese....ai quali riserveremo altri post in altri momenti. Ora concentriamoci su Blake.
Milton. A Poem, Copia C, 1811 circa, Tav.1,
New York Public Library, fonte http://www.blakearchive.org/
Il percorso che si sviluppa attraverso l'Immaginazione e la Visione si attua all'interno della mente del Poeta: "All Forms are perfect in the Poet's Mind, but these are not Abstracted nor Compouded from Nature, but are from Imagination" (Tutte le forme sono perfette nella mente del Poeta, ma queste non sono né Astratte, né Composte dalla Natura, ma lo sono dall'Immaginazione). Egli stesso si definirà "the Mental Traveller": un viaggiatore mentale il cui campo di rappresentazione poggerà sul doppio livello della poesia e della figurazione.
L'Arte ha, per Blake, una valore salvifico: al suo interno egli riserva al poeta il ruolo del profeta e si considera veggente, in quanto può penetrare nella verità fantastica del cosmo. Dalla relazione tra poesia e profezia nasce la grande opera d'arte; quest'ultima, infine, è profetica perché svela l'unità dell'esistenza, cioè la realtà spirituale.
In una pagina traboccante di immagini dai contorni netti si inseriscono le parole: Blake crea i suoi capolavori, affidando la rappresentazione "concreta" delle visioni alla simbiosi perfetta tra testo e figure. Egli supera i confini tra scrittura e immagine e per fare ciò inventa un particolare procedimento di stampa, con il quale contemporaneamente riporta sulla carta i testi e le illustrazioni, sviando da una tradizione tipografica in cui figure e parole sono stampate in momenti differenti. Si tratta dell'Illuminated Printing
Songs of Innocence and Experience“Spring”
 Copia V, 1821 Tav.13, Morgan Library and Museum

William Blake, scrivendo il proprio testo, realizzando i propri disegni e incidendoli contemporaneamente sulla stessa tavola stampava un'intera pagina con un solo passaggio e occupandosi di tutto in prima persona. La novità del metodo blakeano consiste non tanto nel lavorare contemporaneamente alla stampa del testo e alla stampa dell'immagine, quanto nella combinazione dell'Incisore (Printmaker) con il Poeta (Poet) e il Pittore (Painter), Tecnicamente, viene data al Pittore e al Poeta la libertà di dipingere e scrivere direttamente sulla lastra di rame che, al momento della stampa, fissa il significato della Visione sulla carta.
Le Songs of Innocence (1789) furono il primo dei lavori pubblicati con questo metodo, che, come si è accennato, fu definito dallo stesso Blake Illuminated Printing, "Stampa Illuminata", in "a style more ornamental, uniform, and grand, than any before discovered". Egli attribuì l'invenzione al fantasma del fratello, che, apparsogli in una visione (1788), gli avrebbe rivelato come procedere...
sembra follia pura, vero? Ma è magnifico!!!
Non sappiamo nel dettaglio come fosse sviluppato il procedimento di lavoro nel nostro, ma la cosa è velatamente raccontata in alcuni suoi versi. 
Nel 2003 Morris Eaves ha ricostruito in maniera eccezionale il procedimento attuato da Blake nel realizzare le proprie "Stampe Illuminate" nell'articolo Illuminated Printing ora fruibile sul sito del Blake Archive! Secondo Eaves, si può supporre che Blake abbia lavorato così: nella prima fase del lavoro si occupa della preparazione delle lastre di rame per il disegno che deve immediatamente seguire. Segue, in un terzo momento, la delicatissima fase della corrosione del del metallo; Blake inserisce la lastra in una sorta di gabbia di cera, per evitare che ne fuoriesca l'acido che sta per versarvi. Dopo 45-90minuti, lavando via l'acido ed eliminando le protezioni di cera, Blake cancella l'inchiostro del disegno e lucida la tavola: l'immagine e il testo sono leggermente a rilievo. Successivamente, passa l'inchiostro per la stampa sulla parte a rilievo della tavoletta di rame: attentissimo, egli pulisce e asciuga l'inchiostro nelle zone che non devono essere stampate. 
Dopo aver steso l'inchiostro sulla lastra, Blake passa alla stampa della tavola. Contemporaneamente si mettono al lavoro sulla stessa opera due personalità distinte, l'incisore e il tipografo. Quest'ultimo esce dall'anonimato e si afferma nel proprio ruolo di artista. Le due funzioni perdono i proprio nomi e si fondono nella sola persona di William Blake, che spesso firma i propri lavori come "Author and Printer", orgoglioso anche del proprio valore manuale, non solo di quello intellettuale!
The Marriage of Heaven and Hell, Copia C, 
1790, Tav. 15, Morgan Library and Museum

A questo punto del lavoro l'artista si avvale dell'aiuto della moglie, che lo assiste nella stampa della tavola e nella preparazione della carta. La signora Blake manovra il torchio, una volta che il marito ha sistemato la tavola sul letto della macchina. Dopo la stampa dell'impression, si passa alla rifinitura ad acquerello e a penna di testi e illustrazioni. 
In quest'ultima fase si fa sentire sempre di più l'essere "speciale" del metodo blakeano, in quanto da una sola matrice l'artista può ricavare numerose copie. Ciascuna di queste, però, differisce dall'altra, perché sottoposta a un'ulteriore perfezionamento formale, cioè le correzioni e i completamenti fatti a mano dai Blake rendono ogni impressione unica. 
Esse sono il frutto della Visione "diretta" del Poeta/Profeta che ha inciso la lastra nello stesso momento in cui la Vision gli si manifestava. Le Stampe Illuminate di Blake, infatti, sono tali non solo in virtù della "visionarietà" della loro concezione, ma anche grazie all'immediatezza della loro creazione: come ho detto, William Blake si imbatteva nella Vision, la più alta espressione dell'Immagination e creava.
Insieme, uniti da un'incredibile compattezza narrativo-visionaria, il visuale e il testuale prendevano forza sulla lastra di rame. 
Blake incideva, corrodeva il metallo con l'acido della morsura, stendeva inchiostro e pigmento e stampava la tavola. Insieme, nell'attimo di un'impressione soltanto, parole e figure trovavano il proprio ruolo sulla carta, così come lo avevano trovato sulla lastra incisa. Nell'irripetibilità del gesto dell'incisione e della precisione della stampa, le immagini e il testo trovano conferma della loro reciproca unicità. Due unicità inscindibili nelle loro opposte differenze. Due unicità confuse nella concretezza della carta. 
E questo, permettetemi di dirlo, è veramente speciale.


Imagination is not a State: it is the Human existence itself.
(L'Immaginazione non è uno Stato mentale: è l'esistenza Umana stessa)


Newton
fonte wikipedia


In chiusura: 
nonostante la grandezza del suo genio, William Blake non fu capito dai contemporanei e il suo lavoro di artista, poeta e incisore rimase nell'ombra, lasciando alle generazioni successive il compito di riconoscerne l'importanza. Qui ho voluto fare un piccolo accenno, stuzzicare la vostra curiosità... non ho parlato della vita e delle opere di Blake; se volete lo faccio...ma lo amo talmente tanto che tendo a esser prolissa!
Ci tengo però a segnalarvi l'archivio multimediale che la Biblioteca del Congressi degli Stati Uniti ha "allestito" per William Blake: si tratta di un contributo fondamentale sia per gli approfondimenti, sia per gli spunti, sia per vedere "faccia a faccia" il Poet Printet Prophet londinese.. eh sì, perché non vi ho detto: Blake ha scritto di mondi lontani e fantastici e fantasiosi, ma non ha (quasi) mai lasciato Londra e non è mai uscito dalla Gran Bretagna!

http://www.blakearchive.org/blake/